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L'Ager Veientanus in Età Repubblicana*

Published online by Cambridge University Press:  09 August 2013

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The ager veientanus in the republican period

The article examines the population of the territory of Veii in the republican period. While the Roman conquest does not seem to have radically changed the Etruscan settlement pattern, perhaps leaving some of the former inhabitants on their lands, a much more serious break is detectable in the second century B.C., when there seems to have been a major economic and demographic crisis. This is not an isolated phenomenon, but one common to the territory along the Tiber, the west of Latium and the neighbourhood of Rome; it must be due to the upheavals initiated by the second Punic war and the unbalance caused in the region by the enormous political, demographic and economic growth of Rome. The late-republican territory of Veii looks like a depressed area, and shows no traces of the villa system of agricultural exploitation until the Augustan period.

Type
Research Article
Copyright
Copyright © British School at Rome 1984

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References

1 Le date sono quelle varroniane.

2 Liv. V 30. 8: ‘… senatum consultum fieret ut agri Veientani septena iugera plebi dividerentur, nee patribus familiae tantum, sed ut omnium in domo liberorum capitum ratio haberetur, vellentque in earn spem liberos tollere.’

3 Liv. VI 4. 4: ‘Eo anno in civitatem accepti qui Veientium Capenatiumque ac Faliscorum per ea bella transfugerant ad Romanos, agerque his novis civibus adsignatus.’

4 Liv. VI 5. 8: ‘Tribus quattuor ex novis civibus additae, Stellatina Tromentina Sabatina Arnensis.’

5 Diod. XIV 102. 4: ‘,

6 Cfr. Hultsch, F., Griechische und Römische Metrologie (Berlin, 1882), ii ed., 40Google Scholar; Becher, W., RE xxi, 1, c. 325Google Scholar, s.v. πλέθρον.

7 Last, H., The Cambridge Ancient History vii (Cambridge, 1928), 538Google Scholar.

8 Cfr. Niebuhr, B. G., Römische Geschichte ii (Berlin, 1830), ii ed., 563, n. 1102Google Scholar; Ogilvie, R. M., A Commentary on Livy, Books i–v (Oxford, 1965), 693Google Scholar; Serrao, F., ‘Lotte per la terra e per la casa a Roma dal 485 al 441 a. C.’, Legge e società nella repubblica romana i (Napoli, 1981), 121Google Scholar, n. 142. Harris, W. V., Rome in Etruria and Umbria (Oxford, 1971), 41Google Scholar, considera prive di valore tutte e tre le cifre.

E' per lo meno curioso notare che il campicello transtiberino di Cincinnato sarebbe stato originariamente di sette iugeri (Val. Max. IV 4. 7) tuttavia si deve anche dire che la notizia si riferisce a un momento anteriore e che il terreno era nell'agro Vaticano e non Veiente (cfr. infra, n. 26). Quanto al problema dei septem iugera forensia (Varro RR I 2. 9; Colum. I 3. 10) cfr. discussione e bibliografia in Tibiletti, G., Athaeneum xxviii (1950), 236–9Google Scholar.

9 Fra il 486 e il 367 abbiamo notizia di almeno una ventina di rogationes agrarie con una particolare concentrazione, 8 rogationes, tra il 424 e la divisione dell'ager Veientanus, cfr. Santilli, A., ‘Le agitazioni agrarie dal 424 alia presa di Veii’, Legge e società nella repubblica romana i (Napoli, 1981), 281306Google Scholar; De Ruggero, E., Enc. Giur. It. i, 2Google Scholar, s. v. Agrariae Leges, 745–54, 756–60; Serrao, op. cit. 51–180; D. Capanelli, ‘Appunti sulla rogatio agraria di Spurio Cassio’, Legge e societa cit., 3–50; De Martino, F., Storia della costituzione romana i (Napoli, 1972), ii ed., 252–5, 378–9, 399401Google Scholar; Id., Storia economica di Roma antica i (Firenze, 1979), 16–17, 25–9; Brunt, P. A., Social Conflicts in the Roman Republic (London, 1971), 50–1, 55Google Scholar (trad, it., Classi e conflitti sociali nella Roma repubblicana (Bari, 1972), 80–1, 87Google Scholar); Colognesi, L. Capogrossi, La terra in Roma antica i (Roma, 1981), 331Google Scholar. Tra la caduta della monarchia e la presa di Veio le fonti parlano di circa una dozzina di annate di carestia o, per lo meno, di scarsità del raccolto, fenomeno mai più ripetutosi con tanta gravità per vari secoli: raccolta della fonti in Frank, T., An economic Survey of ancient Rome i (Baltimore, 1933), 24Google Scholar, n. 51 e in Scalais, R., Le Musée Beige xxix (1925), 145Google Scholar; si noti per inciso che l'affidabilità delle fonti su questo tipo d'informazioni è piuttosto elevata poiché le carestie sono una delle cose che dovevano essere registrate dagli annali dei pontefici, cfr. Cato fr. 77 P. Su questo punto inoltre vedi anche Ogilvie, loc. cit.

10 Cfr. Kahane, A.Threipland, L. MurrayPerkins, J. B. Ward, ‘The Ager Veientanus, North and East of Veii’, PBSR xxxvi (1968), 148Google Scholar. Durante le ricognizioni inglesi è stata notata solo una regolarità nella distribuzione degli insediamenti repubblicani nelle zone di Grotta Rossa e di Prima Porta sulla via Flaminia, più vicine a Roma (Ibid.; J. B. Ward Perkins, EAA vii, 1111, s. v. Veio; Potter, T. W., The Changing Landscape of South Etruria (London, 1979), 124Google Scholar), ma i dati delle ricognizioni su quest'area sono ancora inediti, benchè ne sia stata annunciata la pubblicazione da parte di M. Buchanan già da qualche anno (Kahane, A., PBSR xlv (1977), 156Google Scholar).

11 Kahane—Murray Threipland—Ward Perkins, op. cit. 145–6.

12 Liv. VIII 16. 14; Veil. I 14; cfr. Castagnoli, F., Bull. Mus. Civ. Rom. xviii (19531955)Google Scholar (Bull. Com. lxxv), 3.

13 VI 5. 8 cit. supra n. 4.

14 Toynbee, A. J., Hannibal's Legacy i (London, 1965), 165Google Scholar (trad, it., L'eredità di Annibale i (Torino, 1981), 175Google Scholar).

15 Ibid., 167 (trad, it., 177).

16 Liv. V 22. 1; VI 4, 2; Diod. XIV 93. 2; Dion. Hal. XII 13. 4.

17 I dati delle ricognizioni, passate e recenti, mostrano come il popolamento sparso nella campagna si fosse enormemente sviluppato in età arcaica.

18 L'assorbimento di una popolazione vinta non era d'altronde una pratica estranea alla mentalità romana, cfr. già le notizie di Livio, sia pure più o meno leggendarie, sulla cittadinanza data in epoca regia alle popolazioni vinte dei centri di Antemnae (I 11. 2), Alba (I 28. 7; 30. 1), Politorium (I 33. 1), Tellenae, Ficana (I 33. 2) e multis milibus Latinorum dopo la battaglia di Medullia (I 33. 5), ma soprattutto la cittadinanza concessa a Tusculum poco dopo il 381 (Liv. VI 26. 8) e l'assorbimento di Crustumerium e del suo territorio nel 495 o nel 493 (Taylor, L. R., The Voting Districts of the Roman Republic (Rome, 1960), 36–7Google Scholar). Cfr. su questo tema la posizione del tutto analoga di Humbert, M., Municipium et civitas sine suffragio (Roma, 1978), 7981Google Scholar.

19 Rivolta di Fidene subito dopo il sacco gallico (Varro LL VI 18; Macr. 111. 37), presa etrusca di Sutri nel 389 (Liv. VI 3. 2–10), guerra contro Tarquinia nel 388 (Liv. VI 4. 8–11). Beloch, (Römische Geschichte (Berlin und Leipzig, 1926), 160Google Scholar) rifiuta la storicità della rivolta di Fidene considerandolo un racconto eziologico preso dalla fabula praetexta di cui parla Varrone, ma, se escludiamo i coloriti dettagli, il nucleo del racconto è perfettamente plausibile in questo momento storico.

20 Questo provvedimento ben s'inquadra nella politica romana di questo delicato momento aperta all'immigrazione, cfr. Sordi, M., Irapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio (Roma, 1960), 86Google Scholar; Toynbee, op, cit., i, 337, 379 n. 3 (trad, it., i, 410, 489 n. 10).

21 Last, op. cit., 539–40; Frank, op. cit., 23; Toynbee, op. cit. i, 164–5 (trad. it. i, 174–5); De Martino, Storia economica cit., i, 25–7.

22 Cfr. per es. Tibiletti, op. cit., 228–31, ma già Mommsen, T., Römische Geschichte i (Berlin, 1854), v ed., 189Google Scholar n. **; da ultimo Ampolo, C., Dial. Arch. n. s. 2 (1980), 25–6Google Scholar.

23 Liv. XXVI 34. 6–7, 10: ‘Campanos omnis, Atellanos, Calatinos, Sabatinos, extraquam qui eorum aut ipsi aut parentes eorum apud hostis essent, liberos esse iusserunt ita ut nemo eorum civis Romanus aut Latini nominis esset, neve qui eorum qui Capuae fuissent dum portae clausae essent in urbe agrove campano intra certam diem manerent, locus ubi habitarent, trans Tiberim, qui non contigeret Tiberim daretur (…). Qui eorum trans Tiberim emoti essent, ne ipsi posterive eorum uspiam pararent haberentve nisi in Veiente Sutrino Nepesinove agro, dum ne cui maior quam quinquaginta iugerum agri modus esset.’

24 O che almeno abbia colpito una ristretta minoranza, cfr. De Sanctis, G., Storia dei Romani iii. 2 (Torino, 1917), 345–6Google Scholar.

25 Liv. VIII 14. 5: ‘In Veliternos, veteres cives Romanos, quod totiens rebellassent, graviter saevitum: et muri deiecti et senatus abductus iussique trans Tiberim habitare.’ Liv. VIII 20. 9: ‘De senatu Privernate ita decretum, ut, qui senator Priverni post defectionem ab Romanis mansisset, trans Tiberim lege eadem qua Veliterni habitaret.’

26 Scelta logica nel IV sec, si saranno infatti volunti relegare Veliterni e Privernati il più. lontano possibile dai loro territorio d'origine e quindi nella parte più settentrionale di ager publicus al momento disponibile. D'altronde la regione transtiberina era sempre stata ‘per vocazione’ terra d'esilio, si pensi alia disposizione delle dodici tavole che permetteva la vendita del debitore insolvibile trans Tiberim (Gell. XX 1. 46–7) e all'episodio di Cincinnato che, pagata la fortissima cauzione per il figlio, si ritira trans Tiberim velut relegatus (Liv. III 13. 10; cfr. anche Dion. Hal. X 8. 4; Val. Max. IV 4. 7), anche se in questo caso non si tratta di ager Veientanus, poiché i prata Quinctia erano nell' ager Vaticanus (Liv. Ill 26. 8; Plin., NH XVIII 20Google Scholar; Fest. 256). Riguardo alla minacciata deportazione dei Capuani si noti che secondo Tibiletti (op. cit., 189) si tratterebbe dell'indice di un già avanzato spopolamento della regione (cfr. infra).

27 Toynbee, op. cit. i, 165, 313; ii, 250–1 (trad. it. i, 175, 386; ii, 280–1).

28 Liv. XXXI 13. 1–9.

29 Si esclude ovviamente la costruzione delle grandi arterie viarie, in particolare della Flaminia, della Clodia e della Cassia, che prescindono dalle situazioni locali. Alla costruzione della Cassia, che oltrepassa Veio senza toccarla, è stato attribuita parte della responsabilità per la decadenza della città tardorepubblicana (Vagnetti, L., Il deposito votivo di Campetti a Veio (Firenze, 1971), 183–4Google Scholar; Perkins, J. B. Ward, The Princeton Encyclopedia of Classical Sites (Princeton, 1979), ii ed., 959Google Scholar, s. v. Veii). Tuttavia la Cassia è innocente di ciò o al massimo ne è responsabile in quanto avrà reso ancora più sensibile la forza centripeta di Roma. Come si verdrà più avanti la decadenza di Veio negli ultimi due secoli della repubblica va considerata in un quadro più ampio.

30 Uso questo termine in un'accezione archeologica e, direi, ceramologica, intendendo il II e il I sec. a. C.

31 Si tratta di un frammento di fornello tipo IV B della classificazione di Mayence, F., ‘Fouilles de Delos, Les Réchauds en terrecuite’, BCH 29 (1905), 387–8Google Scholar, figg. 29–32. Un confronto puntuale in Scheffer, C., Acta Inst. Rom. Sueciae xxxviii: ii. 1Google Scholar, fig. 63, dall'agorà di Atene. Si può notare che questo fornello, molto diffuso nel mediterraneo orientale, non era noto in Italia, che io sappia, al di fuori della Magna Grecia.

32 Chi cercasse qualche notizia letteraria su ville tardorepubblicane in questa regione rimarrebbe deluso. Sappiamo solo che Q,. Aelius Tubero, probabilmente il tribuno della plebe del 177 a. C., aveva una proprietà nel territorio di Veio (Val. Max. IV 4. 8; Plut. Paull. 5. 6–7) che Shatzman, I. (Senatorial Wealth and Roman Politics, Coll. Latomus 149 (Bruxelles, 1975), 241Google Scholar n° 2) valuta sui 150–200 iugeri di estensione, ma che in base alia descrizione che ce ne resta faticheremmo molto a chiamare ‘villa’, mentre è stato ipotizzato che avessero proprietà in questo territorio L. Gellius Poplicola (cos. 72 a. C.) e Catilina in base al fatto che la loro tribù è la Tromentina (Ibid., 397–8 n° 197, 464 n. 12, 442, tav. ii): l'unica alternativa a Veio sarebbe Fabrateria Nova, inclusa nella Tromentina nel 124 (Taylor, op. cit., 93), mentre le altre aggiunte, per es. Perugia, sono troppo tarde, successive alla guerra sociale. È evidente che, considerata la vicinanza con Roma, l'estensione notevole del territorio in esame e l'arco cronologico di due secoli su cui sono distribuiti, questi dati hanno un peso irrilevante.

33 L'unica attestazione archeologica degna di nota relativa a questo periodo si ha nello scarico di materiale votivo avvenuto nel II o forse all'inizio del I sec. a. C. al cd. santuario di Porta Caere (M. Torelli — I. Pohl, Not. Sc. 1973, 40–258). Una crisi di Veio alia fine del III sec. è stata ipotizzata su base archeologica anche da M. Santangelo (Rend. Line. s. vii, vol. iii (1948), 463Google Scholar), che pensava però a una catastrofe di tipo bellico.

34 Perkins, J. B. Ward, ‘Veii: The Historical Topography of the Ancient City’, PBSR xxix (1961), 56–7Google Scholar, ma v. infra.

35 Notizie preliminari, non specificamente sul periodo in questione, in Guaitoli, M., Quad. Top. Ant. ix (1981), 7982Google Scholar.

36 Cic., Fam. IX 17. 2Google Scholar: ‘Veientem quidem agrum et Capenatem metiuntur.’

37 Cfr. Harris, op. cit., 310–11; Jones, G. D. B., Latomus xx (1963), 773–6Google Scholar; molto discutibile invece gran parte delle ipotesi di Bitto, I., Riv. Stor. Ant. i (1971), 109–17Google Scholar; Ead., , Atti Acc. Peloritana dei Pericolanti, classe di lett. lv (1979), 91141Google Scholar, che, tra l'altro non tiene conto dei dati archeologici.

38 Cfr. su tutto cio Harris, op. cit., 307–10.

39 Ciò s'accorda perfettamente con la politica di Cesare, e cesariane sono le prime assegnazioni a Veio, a Capena e, forse, a Lucus Feroniae (colonia cesariana secondo Taylor, op. cit., 322 n. 12, e Jones, G. D. B., PBSR xxx (1962), 191–5Google Scholar; contra Bartoccini, R., Atti VII congr. int. arch, class. ii (Roma, 1961), 252Google Scholar; Harris, op. cit., 308–9; Keppie, L., Colonisation and Veteran settlement in Italy 47–14 B.C. (London, 1983), 49Google Scholar; forse potrà essere risolutiva la pubblicazione dei recenti scavi, cfr. infra n. 42), che cercava di fare distribuzioni di terre per quanto possibile ‘indolori’, cfr. Brunt, P. A., Italian Manpower 225 B.C.–A.D. 14 (Oxford, 1971), 318–24Google Scholar; Id., Social Conflicts cit., 145 (trad, it., 211); Keppie, op. cit., 49, 54–8.

40 Duncan, G. C., PBSR xxxiii (1965), 139Google Scholar.

41 Potter, T. W., A Faliscan Town in South Etruria (London, 1976), 22Google Scholar; Morel, J. P., Céramique campanienne (Roma, 1981), 519 n. 94Google Scholar.

42 La distruzione di questo centro ad opera di Annibale nel 211 (Liv. XXXVI 2. 8) sembrerebbe confermata dai recenti scavi, cfr. Moretti, A. M. Sgubini, Civiltà arcaica dei Sabini, cat. della mostra (Roma, 1973), 26–7Google Scholar; Ead., , Nuove scoperte e acquisizioni nell'Etruria meridionale (Roma, 1975), 94–5Google Scholar. Il materiale votivo, rinvenuto disperso per l'area sacra, è stato datato non più tardi del III sec. e suggerisce, appunto per la sua dispersione, una distruzione violenta; inoltre il quartiere mediorepubblicano, scavato sotto all'area del più tardo foro, sembra vivere anch'esso fino alia fine del III sec. ed è obliterato dal nuovo impianto urbanistico, che ne prescinde totalmente. Le prime strutture della ‘nuova’ Lucus Feroniae parrebbero risalire già alla fine del II sec. a. C. (Coarelli, F., St. Class. Orient, xxiv (1975), 165Google Scholar; Torelli, M., Etruria (Bari, 1980), 31Google Scholar; Manzella, I. Di Stefano, Archeologia: materiali e problemi 6 (Bari, 1982), 52Google Scholar), ma il maggiore sforzo costruttivo è nella seconda metá del secolo successivo, con la istituzione della Colonia Iulia Felix Lucoferoniensis (Jones, , PBSR xxxGoogle Scholar, loc. cit.). Se non è pensabile un abbandono del centro, vista la sopravvivenza del culto attestata dalle poche terrecotte architettoniche datate al II sec. (Sgubini Moretti, Nuove scoperte cit., 93) e dai coevi frammenti architettonici di stile corinzio-italico (M. Torelli, EAA Suppl. 1970, 443, s. v. Lucus Feroniae; Id., Etruria cit., 34) oltre che da un paio di menzioni in Livio (prodigi del 210 e del 196, XXVII 4. 14; XXXIII 26. 8), Lucus Feroniae deve però aver attraversato un periodo di grave regressione durato circa un secolo. L'importanza di questo fenomeno, che possiamo solo intuire in base alle poche notizie preliminari sugli scavi, è notevole: infatti un centro così importante per la sua funzione di punto d'incontro privilegiato per gli scambi tra Etruschi, Falisci, Sabini e Latini, un port of trade potremmo forse dire con terminologia sostantivista, diflficilmente può essere decaduto unicamente per il sacco annibalico. Al contrario, proprio per la sua funzione, la sua storia è un indice importante di ciò che succede nella regione e quindi la sua crisi può essere compresa solo in un quadro di generale regressione del territorio circostante.

43 Muzzioli, M. P., Cures Sabini (Firenze, 1980), 39Google Scholar. Secondo Jones, G. D. B., PBSR xxxi (1963), 107Google Scholar si tratterebbe della Civitas Sepernatium.

44 Potter, T. W., Arch. Med. ii (1975), 217Google Scholar; Id., The Changing Landscape cit., 95.

45 Ward Perkins, loc. cit.

46 Morel, loc. cit.

47 Duncan, loc. cit.

48 Muzzioli, op. cit., 40. in Sabina tuttavia la situazione è probabilmente un po' differente: a Cures alla crisi dell'abitato non corrisponde un analogo fenomeno nelle campagne.

49 Quilici, L.Gigli, S. Quilici, Crustumerium (Roma, 1980), 160Google Scholar; si potrebbe aggiungere anche Antemnae, dove la situazione sembra simile, anche se di più difficile lettura (Iid., Antemnae (Roma, 1978), 163–5), ma la piccolezza e l'estrema vicinanza a Roma dell'abitato, quasi una ‘borgata’, lo rende meno significativo.

50 Guaitoli, M., Quad. Top. Ant. ix (1981), 50–1Google Scholar.

51 Cfr. tra l'altro Guaitoli, M., Archeologia laziale iv (Roma, 1981), 228Google Scholar; Giuliani, C. F., Enea nel Lazio, cat. della mostra (Roma, 1981), 165–6Google Scholar.

52 Morselli, C.Tortorici, E., Ardea (Firenze, 1982), 38–9Google Scholar; qui la crisi è meno drastica che a Lavinium, importante segno di continuità è il tempio scavato di recente a Colle della Noce, Crescenzi, L.Tortorici, E., Archeologia laziale v (Roma, 1983), 3846Google Scholar; Tortorici, E., Ardea — Immagini di una ricerca, cat. della mostra (Roma, 1983), 2937Google Scholar; L. Crescenzi, Ibid., 56–69. Anche il piccolo centro della Giostra termina la sua breve esistenza verso la metà del III sec, cfr. Moltesen, M., Archeologia laziale i (Roma, 1978), 62Google Scholar; Brandt, J. R., Archeologia laziale ii (Roma, 1979), 50Google Scholar; M. Moltesen, Not. Sc. 1980, 58. La sua piccolezza e la sua breve vita però gli attribuiscono un'importanza locale e lo rendono meno significativo per un discorso più generale, specie se messo a confronto con città vere e proprie.

53 Satricum è in declino già dal IV sec, provata duramente dalle distruzioni che subì ad opera dei Latini nel 377 (Liv. VI 33. 4) e dei Romani nel 346 (Liv. VII 22. 8) e forse nel 319, quando fu riconquistata dopo la defezione seguita alle forche caudine (Liv. IX 16. 9). Di quest'ultimo evento in realtà non conosciamo esattamente le conseguenze, ma dovettero essere pesanti se la sorte di questo centro è citata come deterrente durante la seconda guerra punica (Liv. XXVI 33. 10). Il tempio di Mater Matuta sopravvisse certamente per un paio di secoli e attorno a esso dovette continuare la sua vita almeno un nucleo abitato di dimensioni ridotte. La seconda stipe del tempio è comunemente datata tra il IV e il II sec. (cfr. per es. Seta, A. Della, Museo di Villa Giulia (Roma, 1918), 280Google Scholar), ma si tratta certamente di una datazione da rivedere in base alle odierne conoscenze. Tra la ceramica finora pubblicata (Beaufort, J., Satricum una città latina, cat. della mostra (Firenze, 1982), 126–31Google Scholar) non c'è un pezzo posteriore al III sec, anzi alla metà di esso. E' ovvio che il valore di questa osservazione e limitato, in quanto si basa su una piccola campionatura. Tuttavia sembra che questo dato possa essere in qualche modo indicativo: infatti neanche nel quartiere adiacente al tempio sull'acropoli i recenti scavi hanno rinvenuto materiale posteriore al III sec. (A. J. Beijer, Satricum una città latina cit., 29; Id., Archeologia laziale v (Roma, 1983), 58, 63–4). Tutto ciò, unito al totale silenzio delle fonti dopo l'ultima menzione che ne fa Livio nel 207 (XXVIII 11.2, quando un fulmine colpì il tempio), induce a credere che anche quanto soprawiveva di Satricum sia finito al più tardi agli inizi del II sec. Unico documento che ha fatto pensare a una sopravvivenza del culto nel II sec. è un'epigrafe datata nel II o I sec. a. C. (F. Barnabei, Not. Sc. 1896, 101–2; F. Barnabei — R. Mengarelli, Ibid., 194–6; R. R. Knoop, Satricum cit., 65). Naturalmente bisognerà aspettare l'edizione definitiva per muoversi su terreno più solido.

54 Per Lavinium risultati inediti e ancora incompleti dei seminari dell'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma condotti dalla Prof. Fenelli e dal dott. Guaitoli sul territorio circostante alla città e, poco più a nord, sul territorio dell'abitato di Castel di Decima. Per Ardea cfr. Crescenzi, L.Quilici, L.Gigli, S. Quilici, RIASA n. s. xviii (1971), 14Google Scholar, i cui dati sono però da utilizzare con una certa cautela.

55 Cfr. C. F. Giuliani, op. cit., 166; Piccareta, F., Quad. Top. Ant. ix (1981), 713Google Scholar.

56 Gigli, S. Quilici, SE xxxviii (1970), 363–6Google Scholar.

57 L. Quilici — S. Quilici Gigli, Crustumerium cit., 290.

58 Come dimostra il ‘crollo dell'assetto urbano’ rilevabile già nel IV sec, Ibid., 160.

59 I danni materiali alle campagne furono probabilmente il fattore che ebbe minor peso (Last, op. cit. ix, 4), specie per il territorio attorno a Roma e per il Lazio (Brunt, Manpower cit., 269–76). Per le conseguenze demografiche cfr. Bernardi, A., ‘Incremento demografico e colonizzazione latina dal 338 a. C. all'età dei Gracchi’, Nuova riv. Stor. xxx (1946), 272–89Google Scholar; Tibiletti, op. cit., 188–96; Toynbee, op. cit. i, 478–9 (trad. it. i, 600–1); Brunt, Manpower cit., 63, 84. Lo sforzo militare, e quindi il calo demografico, dovette essere particolarmente gravoso per la regione attorno a Roma: Tibiletti (op. cit., 188–9) osserva che nel 212, l'anno di maggior sforzo militare, l'arruollamento straordinario fu affidato a due triumvirati (Liv. XXV 5. 5–9), uno agiva nel territorio compreso nel raggio di 50 miglia da Roma, l'altro nel resto d'ltalia: ‘sembra evidente che questo secondo commissariato non avrà potuto compiere l'ufficio suo in varie direzioni con altrettanta minuziosità come il primo.’

60 Cfr. per tutti Frederiksen, M. W., Dial. Arch, iv–v (1971), 345Google Scholar. Questa ricostruzione aveva incontrato generale accoglienza, cfr. anche Carandini, A., L'anatomia della scimmia (Torino, 1979), 196Google Scholar.

61 Celuzza, M. G.Regoli, E., Dial. Arch. n. s. 4 (1982), 3162Google Scholar; Carandini, , Opus 1 (1982), 423Google Scholar.

62 Non a caso lo studio della British School su questo punto era stato più cauto: cfr. Kahane — Murray Threipland — Ward Perkins, op. cit., 153–6.

63 Celuzza — Regoli, op. cit., 59.

64 Si deve tuttavia notare che neppure allora le ville determinano la sparizione della piccola proprietà o, se si vuole, del piccolo affittuario: per questo si deve attendere il tardo impero, ovviamente in una situazione storica ed economica ben diversa.

65 Una notevole quantità di dati potrebbe per esempio fornire la pubblicazione delle numerose ville scavate recentemente nei dintorni di Roma dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, sulle quali si possono trovare cenni preliminari in Roma archeologia e progetto, cat. della mostra (Roma, 1983)Google Scholar e negli atti dell'omonimo convegno tenutosi sempre a Roma nel maggio 1983, in corso di stampa. Di estremo interesse inoltre il recente contributo di Jones, G. D. B., ‘Il tavoliere romano, l'agricoltura romana attraverso l'aereofotografia e lo scavo’, Arch. Class. xxxii (1980), 85107Google Scholar.

66 Essenziale soprattutto l'estensione delle aree sottoposte a ricognizione accurata e integrale prima della completa distruzione delle emergenze archeologiche. Recentemente è stata proposta una ricognizione per campionature, ma il metodo è inaccettabile: già normalmente la ricognizione è fortemente condizionata da fattori casuali che ostacolano il recupero completo dei dati, per questa strada si avrebbe una campionatura della campionatura, con notevoli deformazioni della realtà. Inoltre in questa maniera la massima attenzione viene posta nelle percentuali dei siti per epoca e nella loro densità. Questi sono certo dati di importanza notevole, ma essenziali sono, oltre alle omogeneità, le discontinuità nell'occupazione del territorio e i percorsi stradali, che, già difficilmente ricostruibili con una ricognizione integrale specie per le fasi preromane, sfuggirebbero total-mente a quella per campioni. Si rischia così di ricadere proprio in quell'errore di stampo positivista dell'appiattimento delle differenze e delle cesure giustamente denunciato (Carandini, L'anatomia cit., 218). D'altronde la lamentata lentezza delle ricognizioni non si può risolvere abbandonando una parte del territorio, ma ‘investendo’ di più nella ricerca topografica sia dal punto di vista economico, che, ancor di più, della pianificazione.

67 Come ha mostrato White, K. D., ‘Latifundia’, Bull. Inst. Class. St. 14 (1967), 6279CrossRefGoogle Scholar, il termine latifundia appare solo nel I sec. d. C., è scarsamente attestato (sette volte in tutta la letteratura latina!), in contesti assai vaghi e sempre al plurale.

68 Cfr. a questo proposito Rathbone, D. W., JRS lxxi (1981), 1023Google Scholar.

69 Cfr. le giuste osservazioni di Jones, Il tavoliere’ cit., 86, e Gabba, di E., Opus 1 (1982), 381Google Scholar.