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LE ELEZIONI POLITICHE ITALIANE DEL 7 MAGGIO 1972

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

Le elezioni politiche del 7 maggio 1972 hanno presentato alcune caratteristiche peculiari che hanno richiamato su di esse un'eccezionale interesse e le hanno fatte definire decisive per il futuro del sistema politico italiano. In primo luogo esse sono state le prime elezioni anticipate, di questo dopoguerra, per il rinnovo delle assemblee rappresentative.

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References

1 Per quanto riguarda la situazione della Camera dei deputati sotto la monarchia (il Senato essendo di nomina regia), lo Statuto albertino fissava in 5 anni la durata della legislatura, ma, in pratica, solo 8 delle 30 legislature del regno si avvicinarono al quinquennio (di cui 4 nel ventennio fascista), le altre 22 furono sciolte anticipatamente dal re in momenti di crisi politica. Spesso la richiesta di scioglimento presentata dai presidenti del Consiglio veniva giustificata con la necessità di un adeguamento alle nuove leggi elettorali. L'ultima volta in cui si fece ricorso alle elezioni anticipate fu il 25 gennaio 1924, appunto per varare il nuovo sistema elettorale voluto dai fascisti che assegnava due terzi dei seggi di Montecitorio al partito di maggioranza relativa.Google Scholar

2 Le dimensioni di questa crisi emergono in tutta evidenza da documenti quali la Relazione generale sulla situazione economica del paese, la Relazione del governatore generale della Banca d'Italia, la Relazione del presidente dell'IRI, e il Giudizio di parificazione della Corte dei Conti. Alcuni dati sono particolarmente significativi. Il reddito nazionale lordo misurato a prezzi costanti (1963) ha avuto, nel 1971, un aumento di solo l'1,4% rispetto all'anno precedente, l'incremento piú basso registrato in tutto il dopoguerra. Il prodotto nazionale lordo pro-capite ha visto l'Italia al diciassettesimo posto tra i 23 paesi che fanno parte dell'OCED e all'ultimo posto, fatta eccezione per l'Irlanda, fra i membri della Comunità Europea. Gli investimenti lordi hanno registrato, sempre in termini di prezzi costanti, una flessione del 10,3%; e le attività industriali, generalmente settore trainante, hanno avuto — particolarmente a causa delle crisi della edilizia — una flessione dell'1,3%. La popolazione attiva (pari al 43,5% nel 1959), a causa del prolungamento dell'obbligo scolastico, dell'estendersi del sistema previdenziale e assistenziale — con conseguente aumento dei pensionati —, del deficit migratorio e, soprattutto negli ultimi tempi, dell'incremento della disoccupazione strutturale, è scesa nel 1972 al 34%, toccando cosí la percentuale piú bassa in Europa (37% in Belgio, 42% in Francia, 44% nella Germania federale, 48% in Svezia). Il numero degli occupati è sceso in un anno (dal gennaio '71 al gennaio '72) di 338.000 unità. La disoccupazione, secondo un recente studio del Banco di Napoli che contraddice i dati dell'ISTAT (la cui attendibilità è peraltro da piú parti contestata), interesserebbe l'8% delle forze di lavoro sfiorando 1.800.000 unità. Nel febbraio del 1972 risultavano comunque nelle liste di collocamento 1.243.000 persone di cui 895.000 precedentemente occupate e 275.000 giovani sotto i 21 anni. Le entrate dello Stato sono rimaste nel 1971 al disotto delle previsioni di oltre 540 miliardi (14.380 miliardi invece di 14.923) e le entrate tributarie ed extra tributarie non sono state sufficienti a coprire le spese correnti (stipendi, pensioni, ecc.). Le spese hanno per contro superato le previsioni di 2.916 miliardi (16.930 miliardi contro 14.013). Il disavanzo è quindi salito a oltre 2.549 miliardi cui vanno aggiunti 1.978 miliardi di debiti contratti sul mercato finanziario. Gli investimenti sociali operati dalla pubblica amministrazione hanno conosciuto una flessione del 7,5% e i residui passivi sono saliti alla fantastica cifra di 8.692 miliardi, segno di una disfunzione profonda dell'apparato amministrativo che finisce per vanificare ogni sforzo programmatico e fa sí che i vari piani d'intervento siano piani « sognati » piú che effettivamente attuati.Google Scholar

3 In entrambi i casi il rilievo di tali attacchi era dato non tanto dal peso effettivo dei movimenti concorrenti, quanto dal fatto che la loro presenza minava le « idee-forza » sulle quali i due maggiori partiti di massa avevano sempre particolarmente insistito: il mito dell' « unità politica dei cattolici » da un lato, e quello del « PCI avanguardia del proletariato » dall'altro.Google Scholar

4 I dati, qui e in seguito riportati, sono tratti dalle pubblicazioni del Servizio elettorale del Ministero dell'interno e dell'Istituto centrale di statistica, o sono frutto di specifiche elaborazioni. Di particolare utilità ci sono state anche le indicazioni contenute nel volume Elezioni 1972: risultati e confronti, a cura di Ipsevich, G. e Zampetti, E., Milano, Pan, 1972; e le attente rassegne dei risultati elettorali comparse in « Aggiornamenti Sociali », 1972, nn. 6, 7–8, in « Rinascita », 1972, n. 19, in « Civitas », 1972, n. 8 e in « Mondo operaio », 1972, nn. 7–8. Le discordanze talvolta esistenti fra i vari testi hanno spesso richiesto un paziente lavoro di verifica.Google Scholar

5 È interessante rilevare che l'incidenza dei nuovi elettori, stante la tendenza all'invecchiamento della popolazione, è venuta notevolmente riducendosi nel secondo dopoguerra, passando dall'11% circa del 1948 al 9% attuale. Nello stesso periodo, l'aliquota dei giovani tra i 21 e i 25 anni ha conosciuto, in cifre assolute, un incremento di solo 60.000 unità, mentre il complesso degli elettori è aumentato di quasi 8 milioni. La proporzione dei giovani elettori è destinata a diminuire ulteriormente nelle prossime elezioni quando i nati dopo il 1950 — data da cui la curva delle natalità comincia a registrare una flessione — raggiungeranno l'età del voto.Google Scholar

6 È da ricordare, in proposito, la proposta tendente ad abbassare a 18 anni il diritto al voto per la Camera, e a 21 anni quello per il Senato, proposta che non è riuscita, nel corso della quinta legislatura, neppure a superare l'esame della commissione competente.Google Scholar

7 Questi, ad esempio, i risultati delle regionali del 7 giugno 1970: PCI 27,9; PSIUP 3,2; PSI 10,4; PSU 7,0; PRI 2,9; DC 37,9; PLI 4,7; PDIUM 0,7; MSI 5,2; altri 0,1.Google Scholar

8 Nelle regionali del 18 giugno 1971, questa, ad esempio, la distribuzione percentuale dei voti in Sicilia: PCI 12,6; PCI + PSIUP 7,7; PSIUP 2,2; PSI 11,3; PSDI 5,7; PRI 4,6; DC 33,7; PLI 3,7; PDIUM 1,2; MSI 16,3; altri 1,0. Il MSI, in particolare, dal '68 al '71 era passato a Palermo dal 7% al 19,6%, a Catania dall'8 al 27,2, a Roma, nelle comunali, dal 9,5 al 16,2.Google Scholar

9 Vedi, in proposito, Dogan, M., Le donne italiane tra il cattolicesimo e il marxismo , in Elezioni e comportamento politico in Italia, a cura di Spreafico, A. e LaPalombara, J., Milano, Comunità, 1963, pp. 475494.Google Scholar

10 Secondo alcuni studi, il voto degli emigrati, per un complesso di ragioni (protesta per l'avvenuto sradicamento, difficoltà di ambientamento, propaganda nei luoghi di insediamento), attraverso una radicalizzazione di originarie posizioni moderate, favorisce il PCI e, in misura piú marginale, il MSI. Per quanto riguarda in particolare le migrazioni interne, si è sottolineato altresí il peso che la nuova condizione socio-professionale, la situazione culturale e le strutture residenziali possono avere nel determinare l'atteggiamento politico. L'emigrato meridionale, divenuto operaio a Torino, tenderebbe a votare PCI uniformandosi a una prevalente tradizione di classe e di ambiente. Il problema necessita, tuttavia, di ulteriori indagini approfondite che ne mettano piú chiaramente in luce le variabili e la dinamica, in particolare per quanto riguarda la stabilità del comportamento politico considerato. Cfr., fra gli altri, i saggi sulle conseguenze delle migrazioni sul voto comparsi in Nord e Sud, 1958, n. 46, e 1963, nn. 42–43 e 45; in Tempi Moderni, 1963, n. 13; in Partiti politici e strutture sociali in Italia, a cura di Dogan, M. e Petracca, O. M., Milano, Comunità, 1968; nonché i volumi di Cavalli, L., Gli immigrati meridionali e la società ligure, Milano, F. Angeli, 1964; di Alberoni, F. e Baglioni, G., L'integrazione dell'immigrato nella società industriale, Bologna, Il Mulino, 1965; di Passigli, S., Emigrazione e comportamento politico, Bologna, Il Mulino, 1969.Google Scholar

11 A titolo di curiosità vanno ricordati i ben 15 contrassegni con la falce e il martello, i 7 con la dizione « rivoluzionario », i 4 riferiti al divorzio, nonché quelli del Consiglio Pensatori Europeisti, del Movimento Reazionario Nazionale, del Partito Italiano Disoccupati (PID), del Partito Progressista Italiano (PPI), dell'Unione Nazionale Socialisti Indipendenti Progressisti Occidentali (UNSIPO), della Federazione per il Riconoscimento delle Esigenze degli Emarginati (FREE) e quello recante l'immagine di un Jolly con la scritta IPPI.Google Scholar

12 Nelle elezioni prefasciste la frequenza alle urne ha invece oscillato tra il 45 e i1 65%. Ecco i dati relativi ad alcune consultazioni: % votanti 1861 1870 1882 1900 1913 1921 C.D. 57,2 45,5 60,7 58,3 60,4 58,4 Votanti 1946 1948 1953 1958 1963 1968 1972 A.C.-C.D. 89,1 92,2 93,8 93,8 92,9 92,8 93,1 S.R. — 92,1 93,8 93,9 93,0 92,9 93,1 Google Scholar

13 Le province con la maggiore percentuale di votanti (intorno al 98%) sono state Ferrara, Ravenna, Siena, Reggio Emilia e Cremona; quelle con la minore (tra il 77 e il 79%) Agrigento, Avellino, Enna ed Isernia.Google Scholar

14 La maggiore percentuale di schede bianche si è verificata nel 1972 in Valle d'Aosta (il 5,1% sia per la Camera che per il Senato). Il fenomeno è probabilmente dovuto al fatto che i sostenitori della lista di « Concentrazione democratica » raggruppante la DC, il PSDI, il Raggruppamento Valdostano e Unione Valdostana si sono trovati a dover votare per due candidati defunti, in quanto periti qualche giorno prima in un incidente. I due candidati sono stati, tuttavia, ugualmente eletti creando un delicato problema costituzionale.Google Scholar

15 La percentuale dei voti irregolarmente espressi varia in funzione del grado di complessità della scelta che l'elettore è chiamato ad effettuare, del grado di educazione civile e politica del corpo elettorale, nonché del maggiore o minore rigore adottato, all'atto dello scrutinio, nell'applicare le disposizioni relative alla validitè del voto. % voti nulli 1946 1948 1953 1958 1963 1968 1972 A.C. - C.D. 5,2 1,6 3,1 1,3 1,4 1,7 1,6 S.R. — 3,0 2,1 1,7 1,7 1,8 1,6 Questo spiega perché le piú alte percentuali di voti nulli si siano registrate nel 1946, quando gli elettori si recavano a votare per la prima volta, e nel 1953 quando — in occasione di quella che fu definita la « legge truffa » — gli scrutatori simpatizzanti per i partiti di opposizione adottarono criteri di particolare rigore al fine di non far scattare il premio di maggioranza. Spiega altresí perché, contrariamente a quanto avviene per le schede bianche, che sono generalmente espressione di un'intenzionale volontà di astensione, i voti nulli siano piú numerosi nelle zone del paese dove l'istruzione è meno diffusa.Google Scholar

16 Vedi le interviste riportate dal « Corriere della Sera », il 3 maggio 1972.Google Scholar

17 È opportuno sottolineare che questo indice, che si presta efficacemente ad evidenziare il complesso delle variazioni percentuali intervenute nella forza elettorale dei principali partiti, ha carattere invece estremamente approssimativo quando viene usato — come fanno vari commentatori politici — per registrare la mobilità complessiva del corpo elettorale. Esso, infatti, denunciando solo i saldi attivi e passivi dei travasi di voti verificatisi tra i partiti, non coglie che gli effetti marginali di ben piú ampi ed interni movimenti d'opinione. L'interscambio di un milione di voti avvenuto tra due partiti non viene, ad esempio, in alcun modo registrato, mentre anche un piccolo passaggio di voti svoltosi in una sola direzione dall'uno all'altro partito viene indicato come scarto negativo a danno del primo e positivo a favore del secondo. Naturalmente, assumendo l'ipotesi che tali sperequazioni si producano piú o meno nella stessa misura ad ogni elezione, l'indice registrerebbe ugualmente la differenza di mobilità politica, ma è appunto l'assunzione di tale ipotesi che appare temeraria.Google Scholar

18 Stante la minore omogeneità degli schieramenti, le considerazioni personali indotte dalle candidature uninominali e la tendenza a concentrare il suffragio sui maggiori partiti che caratterizzano le elezioni senatoriali, per ottenere indicazioni attendibili sul voto dei giovani non si può fare agevolmente ricorso all'analisi delle differenze tra i risultati delle due camere Per una dimostrazione matematica dell'inaffidabilità del metodo — che alcuni commentatori continuano invece ad usare, pervenendo spesso a risultati contrastanti — cfr. Dogan, M., Confutazione di un metodo di analisi del voto giovanile , in Partiti politici e strutture sociali in Italia, a cura di Dogan, M. e Petracca, O. M., cit., pp. 481489. Per un interessante tentativo che, nella piena consapevolezza dei precisi limiti del metodo, mira ad identificare, mediante un'accurata analisi degli scarti tra i suffragi dei partiti nelle due assemblee, non la « misura » ma la « linea di tendenza » del voto giovanile, vedi Gregoretti, P., Tellia, B. e Cobalti, A., Il comportamento politico-elettorale dei giovani, Documenti ISVET n. 42, cicl.Google Scholar

19 Sull'importanza di tale struttura organizzativa agli effetti del comportamento elettorale, vedi lo studio di Galli, G., L'influenza dell'organizzazione partitica sul voto , in « Rassegna Italiana di Sociologia », XIII (1972), pp. 149169.Google Scholar

20 È interessante rilevare che tale squilibrio segna un mutamento di fondo nella linea di sviluppo del PRI che, originariamente forte solo in alcune zone di antica tradizione repubblicana, aveva successivamente tentato di qualificarsi come partito di democrazia meridionalista e appare oggi invece privilegiato dai ceti emergenti del Nord. Vedi, in proposito, Compagna, F., Lettere dall'interno del PRI , « Espresso » n. 34, 1972. Questo processo risulta chiaramente dal prospetto che segue. % Zone 1948 1953 1958 1963 1968 1972 Nord 30,4 38,1 47,6 38,5 36,7 52,5 PRI Centro 43,5 35,7 34,2 26,7 23,2 21,6 Sud 15,4 16,9 10,5 15,7 20,6 15,7 Isole 10,7 9,3 7,7 19,1 19,5 10,2 21 Si tratta di un vero e proprio rovesciamento rispetto a quella che era la situazione del PLI nell'immediato dopoguerra. Ecco i dati relativi alle varie elezioni. % Zone 1948 1953 1958 1963 1968 1972 Nord 18,7 44,5 52,7 56,0 59,7 63,5 PLI Centro 8,5 14,6 13,8 16,7 18,1 15,6 Sud 50,4 25,8 18,0 15,3 13,0 12,0 Isole 23,7 15,1 15,5 12,0 9,2 8,9 Google Scholar

22 Le regioni meridionali, oltre ad essere piú arretrate del resto dell'Italia — pur raccogliendo il 34,8% della popolazione concorrono solo per il 22,4% alla formazione del reddito netto — sono, secondo una recente inchiesta della CEE, anche quelle in assoluto piú arretrate della Comunità. In termini di prodotto lordo interno pro capite, alle 500.000 lire annue, totalizzate in media nel nostro Mezzogiorno, fanno riscontro i tre milioni di lire annui della regione di Amburgo, i due milioni circa di quella di Brema, di Parigi, della Normandia e dell'Olanda meridionale, tutte realtà di cui gli emigrati meridionali hanno spesso potuto avere diretta consapevolezza.Google Scholar

23 Cfr. ISTAT, Annuario di statistiche del lavoro e dell'emigrazione Vol. XII, Roma, 1971.Google Scholar

24 Cfr. Documento programmatico preliminare per l'impostazione del Programma 1971–1975. Allegato II, Programma 1966–1970; obiettivi e risultati. Per un'accurata visione d'insieme dei problemi dei lavoratori meridionali, vedi anche Pizzuti, D., Il proletariato nel Mezzogiorno , in « Aggiornamenti sociali », (maggio 1972), pp. 339354.Google Scholar

25 Secondo stime di larga massima, dei 3.700.000 occupati precari in Italia il 70% circa (pari a 2.600.000 unità) si trova nell'Italia meridionale che non conta che il 35% della popolazione complessiva. Cfr. Sylos Labini, P., Sviluppo economico e classi sociali in Italia , in « Astrolabio », 31 marzo 1972, pp. 1731 e, in una nuova versione riveduta e ampliata, in « Quaderni di sociologia », XXI (1972). È interessante rilevare, in particolare, che i braccianti meridionali erano, nel 1969, 1.100.000 (il 70% del totale). Di questi braccianti, il 28% aveva effettuato, nello stesso anno, meno di 100 giornate lavorative.Google Scholar

26 Cfr., ISTAT, IV Censimento generale dell'industria e del commercio, 16 ottobre 1961. Volume Industria, Tomo II, Parte II; Roma, 1967.Google Scholar

27 Cfr. « Conquiste del Lavoro », 27 febbraio 1972.Google Scholar

28 Cfr. Grande impresa e piccola impresa , in « Relazioni Sociali », febbraio 1972.Google Scholar

29 Il problema è di tale gravità che la CEE ha recentemente previsto che dei 3.500.000 nuovi posti di lavoro che dovranno essere creati nella Comunità entro il 1980, oltre due milioni siano destinati all'Italia e di essi 1.200.000 al Sud.Google Scholar

30 Per avere un'idea delle condizioni di queste città, basta riflettere su alcuni dati. A Napoli, nel 1971, 475 aziende hanno chiuso i battenti, oltre 10.000 operai sono stati licenziati. Gli occupati rappresentano solo il 27% della popolazione, il Comune ha 12.000 dipendenti (contro i 6.000 di Mosca e i 4.000 di New York). Nel 57% delle abitazioni, di cui il 30% è costituito da un solo vano o basso, esiste un indice di affollamento di 4 persone per stanza. Per ridurre tale indice a un abitante per vano, il fabbisogno è di 865.000 stanze. Un bambino su 20 muore prima di aver raggiunto un anno di età. Il 60% degli alunni abbandona la scuola per motivi economici. I protesti cambiari sono stati in un anno 1.057.766, per una somma complessiva di oltre 71 miliardi. A Catania, che aveva sognato di essere la « Milano del Sud », l'unica industria di un qualche rilievo è l'edilizia. Il furto e la violenza dilagano: vi è uno soippo ogni 10 minuti e in un anno sono stati commessi 1.329 furti da minorenni. Reggio Calabria è la quartultima città d'Italia come reddito, 3.000 famiglie vivono in tuguri, mancano 15.000 alloggi e gli indici di affollamento sono di 3–4 persone per stanza, negli ospedali c'è un posto letto ogni 1.000 abitanti (contro 4,4 nel complesso del Mezzogiorno), il 28% degli occupati dipende dal Comune. In questa situazione, le cifre già stanziate per costruire case, scuole e strade, ma che non si riescono a spendere per l'eccessiva macchinosità delle procedure burocratiche (i passaggi di una pratica di finanziamento sono piú di 15 ed è stato calcolato che in Basilicata per costruire una scuola o un ponte occorrono 6 anni), sono dell'ordine di centinaia di miliardi. In Calabria, agli inizi del '72, erano fermi 80 miliardi e mezzo di residui passivi, in Campania 51, in Sicilia 56.Google Scholar

31 Sotto vari nomi, organizzazioni mafiose non agiscono solo in Sicilia. Negli ultimi anni, soprattutto in Calabria, vi è stata un'ondata impressionante di sequestri, di rapine e di ricatti. Dal racket sulle attività commerciali e industriali (in particolar modo le costruzioni: si stima (cfr. « Il Messaggero », 13 agosto 1972) che almeno il 10% del costo dell'autostrada Calabra sia finito per varie vie nelle mani della mafia) si è passati al taglieggiamento del piccolo commercio e dei contadini.Google Scholar

32 Secondo una valutazione necessariamente approssimativa, la piccola borghesia, impiegatizia e commerciale, che rappresentava all'inizio del secolo un milione su 15 milioni di occupati è salita attualmente a 5 milioni su 19. Cfr. Sylos Labini, P., Sviluppo economico e classi sociali in Italia, cit., p. 21.Google Scholar

33 Secondo i dati contenuti nel Rapporto sulla situazione sociale del paese, predisposto nel 1970 dal CENSIS per conto del CNEL, nel '68 il reddito medio di un laureato (L. 250.000 mensili) era quasi il doppio di quello di un diplomato della scuola secondaria superiore (L. 134.000 mensili).Google Scholar

34 Cfr. Sylos Labini, P., op. cit. , p. 25, sull'argomento vedi anche Daneo, C., Struttura e ideologia del ceto medio , in « Problemi del socialismo », IX (1967), n. 23, pp. 1216–1248, nonché « Problemi del socialismo », III (1960), n. 12, che reca dieci saggi sul ceto medio in Italia.Google Scholar

35 Il fenomeno è dovuto al fatto che l'incremento dei redditi familiari e la liberalizzazione dei titoli di accesso alla Università hanno contribuito, negli ultimi anni, ad accrescere notevolmente il numero dei diplomati e dei laureati senza che la domanda di lavoro aumentasse in misura corrispondente. Dai risultati dell'ultimo censimento emerge che il 36,1% dei giovani in cerca di prima occupazione è in possesso di un diploma e il 6,6% di una laurea. Nel '71 i laureati disoccupati erano 22.000 (un terzo di tutti i laureati nello stesso anno). Secondo uno studio condotto dall'ISRIL, inoltre, circa il 50% dei laureati nel periodo 1965–1967 (98.000 persone) non aveva potuto trovare un lavoro adeguato al proprio titolo di studio. Il fenomeno della disoccupazione intellettuale ha una particolare incidenza nel Meridione sia per la carenza di sviluppo industriale, sia per il fortissimo numero di giovani che frequentano gli studi superiori unicamente perché non riescono a trovare lavoro. Avviene cosí che i diplomati che si iscrivono all'Università (dati ISTAT 1967) siano il 56% nel Nord, il 65% nel Centro, il 71% nel Sud e nelle Isole, e che le Università di Messina, Palermo, Catania, Napoli e Bari forniscano il 50% dei laureati in giurisprudenza e il 43% di quelli in lettere e filosofia, laureati particolarmente soggetti alla disoccupazione.Google Scholar

36 Sull'argomento, cfr. Salierno, G., Il sottoproletariato in Italia, Roma, Samonà e Savelli, 1972, che analizza altresí il problema dei rapporti tra ceto medio, classe operaia e sottoproletariato.Google Scholar

37 Vedi, in proposito, l'eccellente studio di Graziano, L., Patron-Client Relationships in Southern Italy presentato al convegno annuale dell'American Political Science Association, Washington D.C., 5–9 settembre 1972; nonché il volume di Di Palma, G., Apathy and Participation. Mass Politics in Western Societies, New York, The Free Press, 1970.Google Scholar

38 Sull'argomento, e in genere sulla struttura del PCI nel Mezzogiorno, vedi Tarrow, S. G., Peasant Communism in Southern Italy, New Haven, Yale University Press, 1967, tradotto in italiano col titolo Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno, Einaudi, Torino, 1972, che costituisce lo studio piú documentato in materia.Google Scholar

39 Il senso del discorso è efficacemente sintetizzato dalla seguente dichiarazione fatta, durante un comizio a Catania, da un candidato DC: « ci avete dato uno schiaffo e oi ha fatto bene, ma non ci spezzate le braccia perché altrimenti saranno guai per tutti ».Google Scholar

40 I voti recuperati dal partito sono stati, ad esempio, il 6% a Catania, il 6,3 a Palermo, l'8,3 a Catania, l'11,9 a Caltanissetta.Google Scholar

41 Questa consapevolezza è chiaramente espressa in un'intervista rilasciata a « Il Giorno » dall'on. Berlinguer dopo le elezioni: « Il problema politico vero è che se non c'è un potere democratico, che sappia raccogliere cioè la massima base di consensi, e avere quindi la massima autorevolezza, il problema dei ceti medi, e non solo quello, è insolubile. Ai ceti medi va indicata una prospettiva diversa, nella quale essi possano riconoscersi, vedere la soddisfazione in forme nuove delle loro aspirazioni e dei loro interessi. Al di fuori di questo c'è soltanto il loro sbandamento verso la difesa, come che sia, della situazione in cui stanno, cioè verso il loro conservatorismo corporativo e il loro conseguente smarrimento politico ».Google Scholar

42 Come è noto, i monarchici — ridotti ormai allo stremo delle forze — avevano deciso già prima delle elezioni di confluire nel MSI, che per questo ha aggiunto al suo tradizionale simbolo elettorale la dicitura « destra nazionale », corrispondente peraltro — come si dice piú avanti nel testo — alla nuova fisionomia che l'on. Almirante ha cercato di dare al suo partito. Per lo scioglimento del PSIUP è stato invece decisivo proprio l'insuccesso elettorale del '72. La maggioranza del partito ha deciso di confluire nel PCI, un gruppo di minoranza è rientrato nel PSI e un altro piccolo gruppo — fondendosi con quella minoranza del MPL che ha rifiutato a sua volta di confluire nel PSI — ha costituito il partito di unità proletaria PDIUP.Google Scholar

43 Sintomatico è a questo proposito quanto dice, dopo le elezioni, il Sen. Spagnolli, capogruppo DC al Senato, in una intervista al settimanale « Oggi »: « All'atto pratico non si vede molta differenza tra il PLI e gli altri partiti di democrazia laica. Liberali, socialdemocratici e repubblicani sembrano tre correnti di uno stesso partito ».Google Scholar

44 In proposito vedi l'interessante articolo di Zincone, G., Accesso autonomo alle risorse: le determinanti del frazionismo , in « Rivista Italiana di Scienza Politica », II (1972), pp. 139160.Google Scholar

45 Il concetto di partito « pigliatutto » è dovuto ad Kirckheimer, O., che lo espose in un suo saggio su The Transformation of the Western European Party Systems, comparso in LaPalombara, J. e Weiner, M. (eds.), Political Parties and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1966, e ora presentato in italiano in Sociologia dei partiti politici, a cura di Sivini, G., Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 177201. Per un'applicazione di tale concetto al caso italiano, e in genere per un'acuta analisi della situazione dei partiti italiani, cfr. A. Pizzorno, Elementi di uno schema teorico con riferimento ai partiti politici in Italia, in Partiti e partecipazione politica in Italia, a cura di G. Sivini, Milano, Giuffré, 1969, pp. 5–40.Google Scholar

46 Per il 1972 è stato stimato — cfr. « Tempo illustrato », 14 maggio 1972 — che 60 giorni di campagna elettorale siano venuti a costare ai partiti circa 25 miliardi di lire e che quasi altrettanto abbiano speso i singoli candidati. Per i soli comizi, nonostante che siano stati solo la meta di quelli del '68, sarebbero stati spesi circa 8 miliardi e mezzo.Google Scholar

47 Si tratta soprattutto degli schemi elaborati da Sartori, G. e da Galli, G. Per Sartori v.: Partiti e sistemi di partito , Firenze, Editrice Universitaria, 1965, poi European Political Parties: the Case of Polarized Pluralism , in LaPalombara, J. e Weiner, M., op. cit., poi ancora Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?, in « Tempi Moderni », n. 31, 1967, pp. 1–34, e infine Tipologia dei sistemi di partito, in Quaderni di Sociologia, XVII (1968), pp. 187–226. Per Galli v.: Il Bipartitismo imperfetto, Bologna, Il Mulino, 1966 e Il difficile governo, Bologna, Il Mulino, 1972. Per una recente discussione degli schemi interpretativi del sistema politico italiano, vedi il dibattito sulla « grande coalizione » svoltosi su « Il Mulino », nel corso del 1971, nonché la relazione di Petracca, O. M. a un Convegno di studi organizzato dal Centro L. Einaudi a Sirmione il 22–23 gennaio 1972, ora pubblicata in « Biblioteca della libertà », IX (marzo-giugno 1972), pp. 88–106.Google Scholar

48 Cfr. Eckstein, H., Il rendimento dei sistemi politici , in « Rivista Italiana di Scienza Politica », II (1972), p. 63.Google Scholar

49 Petracca, O. M., op. cit., in particolare pp. 9293.Google Scholar

50 Cazzola, F., Consenso e opposizione nel Parlamento italiano. Il ruolo del PCI dalla I alla IV legislatura , in « Rivista Italiana di Scienza Politica », II (1972), p. 92.Google Scholar

51 Il problema di fondo è quello di distinguere, nella condotta del PCI, tra la tattica e la strategia: che non è certo un problema di facile soluzione. Occorre tuttavia tener presente che — come dice giustamente Petracca — alla lunga la tattica finisce per condizionare la stessa strategia, e — si può aggiungere — e questa a sua volta condiziona l'ideologia e lo stesso essere concreto del partito.Google Scholar

52 Basti ricordare che l'on. Almirante è arrivato sino al punto di dichiarare alla televisione che il MSI rivendicava come propri i valori « piu autentici » della Resistenza.Google Scholar

53 Questo è l'andamento % del voto per i partiti di democrazia laica (PLI, PRI e PSDI) dal 1948 al 1972: 1948 1953 1958 1963 1972 13,4 9,1 9,4 14,5 11,9 Google Scholar

54 La legge elettorale prevede, infatti, che possano usufruire di tale ripartizione solo le liste che riescano ad ottenere almeno un quoziente in una circoscrizione e almeno 300.000 voti nel complesso del Paese.Google Scholar

55 Un giornalista (Cavallari su « L'Europeo », 1972, n. 26) l'ha paragonata argutamente all'equazione di Heisenberg: « Una formula indeterminata, per un tempo indeterminato, aperta ad incognite indeterminate, basata su una costante che non influisce sul mutamento delle altre grandezze ».Google Scholar