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POTERE, ORGANIZZAZIONI E LOGICA “ POLITICA ” DELL'AZIONE COLLETTIVA

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

È un fatto ormai assodato che l'approccio della rational choice theory è sempre più diffuso in scienza politica e che i campi di indagine a cui viene applicato sono sempre più numerosi. Qualche perplessità può invece sorgere sulla validità di una tale tendenza o, almeno, delle forme in cui si manifesta prevalentemente.

Type
Saggi
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References

1 Rogowski, R., Rationalist Theories of Politics , in «World Politics», XXX (1978), p. 297 nota 6 e p. 303.Google Scholar

2 Cfr. Laver, M., Political Solutions to the Collective Action Problem , in «Political Studies», XXVIII (1980), pp. 195198.Google Scholar

3 Schelling, T.C., Micromotives and Macrobehavior , New York, Norton, 1978. Ma sull'argomento si vedano anche per la loro chiarezza: Harshanyi, J.C., Individualistic vs. Functionalistic Explanations in the Light of Game Theory , in Lakatos, I.-Musgrave, A. (a cura di), Problems in Philosophy of Science, Amsterdam, North Holland Publishing Company, 1968; Harshanyi, J.C., Rational Choice Models of Political Behavior vs. Functionalist and Conformist Theories, in «World Politics», XXI (1969), pp. 513-538; Boudon, R., Effets pervers et ordre social, Parigi, PUF, 1977 (trad. it. Effetti ‘perversi’ del l'azione sociale, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 11-26 e 177-226).Google Scholar

4 Adottiamo qui una definizione piuttosto ampia di razionalità come semplice adeguatezza dei mezzi rispetto ai fini. Cfr. Boudon, R., op. cit., p. 19 e Oakeshott, M., Rationalism in Politics , London-New-York, Methuen, 1967, p. 83.Google Scholar

5 Tali eccezioni si trovano nella teoria dell'organizzazione e in quella della contrattazione. Per il primo campo di indagine rimandiamo a Crozier, M.-Friedberg, H., L'acteur et le système , Paris, Editions du Seuil, 1977, (trad. it., Attore sociale e sistema, Milano, Etas, 1978, p. 35) e Mintzberg, H., Power In and Around Organizations, Englewood Cliffs, N.J., Prentice Hall, 1983, pp. 119-139 e 187-217. Per il secondo invece si veda: Bacharach, S. B.-Lawler, E. J., Bargaining. Power, Tactics and Outcomes, S. Francisco, Jossey Press, 1981.Google Scholar

6 Olson, M. Jr., The Logic of Collective Action , Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1965 (trad. it., La logica dell'azione collettiva, Milano, Feltrinelli, 1983). Nelle note seguenti il numero delle pagine si riferisce alla edizione inglese.Google Scholar

7 Ibidem , p. 12.Google Scholar

8 La non e scindibilità non è l'unica caratteristica che distingue i beni pubblici, qui ci limitiamo a prendere in considerazione solo questa in quanto è la più importante e poiché una analisi esaustiva del concetto di bene pubblico esula dai limiti di questo articolo. Per una trattazione adeguata si rimanda a Laver, M., op. cit. ; Barry, B.-Hardin, R. (a cura di), Rational Man and Irrational Society? , London, Sage, 1982; Taylor, M., Anarchy and Cooperation, London, Wiley, 1976, pp. 14-28.Google Scholar

9 Olson, M. Jr., op. cit. , p. 2.Google Scholar

10 Ibidem , p. 133.Google Scholar

11 Per una analisi più dettagliata ed estesa rimandiamo a Pasquino, G., Democracy, Representation of Interests and Free Riders , paper presentato al workshop su «Political Practice and the Reconstruction of Democratic Theory», Istituto Universitario Europeo, Firenze, maggio 1985.Google Scholar

12 Lange, P., La teoria degli incentivi e l'analisi del partito politico , in «Rassegna Italiana di Sociologia» XVIII (1977), p. 508.Google Scholar

13 Un accurato esame di questo ‘percorso’ si trova in Schmitter, P.Ch., Needs, Interests, Concerns, Actions, Associations and Modes of Interest Intermediation. Toward a Theory of Interest Politics in Contemporary Societies , Berlin, 1981, dattiloscritto.Google Scholar

14 Il ruolo della distribuzione degli incentivi selettivi nell'incrementare l'autonomia del gruppo dirigente è stato preso in considerazione da Panebianco, A., Modelli di partito , Bologna, Il Mulino, 1982; da Bordogna, L.-Provasi, G., Politica, economia e rappresentanza degli interessi, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 128-157 e da Lassini, A., Rappresentanza, autonomia organizzativa e legittimazione politica nell'associazionismo imprenditoriale, in «Stato e Mercato», IV (1984), pp. 189-227.Google Scholar

15 È d'obbligo a questo proposito il riferimento all'approccio neo-corporatista in quanto ha messo in luce i fattori che posson portare ad una riduzione del grado di volontarietà della adesione ai gruppi di interesse e i suoi effetti sul funzionamento del sistema politico. Si veda Schmitter, P. Ch., Teoria della democrazia e pratica neo-corporatista , in «Stato e Mercato», III (1983), pp. 385424.Google Scholar

16 Si tratta solamente di uno tra i vari punti di vista da cui il modello di Olson può essere criticato. Una rassegna abbastanza completa di queste critiche si trova in Cella, G.P., L'azione collettiva nel modello di Olson , in «Stato e Mercato», II (1982), pp. 501505; Hardin, R., Collective Action, Baltimora, John Hopkins University Press, 1982. Per due approcci critici al modello olsoniano che si muovono in una direzione simile a quella qui adottata si vedano: Moe, T.M., The Organization of Interests, Chicago-London, University of Chicago Press, 1980 e Crouch, C., Trade Unions: The Logic of Collective Action, London, Fontana-Collins, 1982.Google Scholar

17 Ogni forma di azione collettiva è in questo senso ‘dialogica’, per utilizzare la terminologia di Offe e Wiesenthal, in quanto esiste sempre, anche nel caso delle associazioni imprenditoriali, una discrepanza, che può essere maggiore o minore a seconda delle situazioni esaminate, tra l'orizzonte strategico dell'individuo e quello dell'organizzazione. Se così non fosse non ci sarebbe bisogno dell'azione collettiva. Cfr. Offe, C.-Wiesenthal, H., Two Logics of Collective Action: Theoretical Notes on Social Class and Organizational Form , in Zeitlin, M. (a cura di), Political Power and Social Theory. Greenwich, JAI Press, 1980 e Addario, N.-Segatti, P., L'organizzazione dell'azione collettiva degli imprenditori, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXIII (1982), pp. 3-59.Google Scholar

18 «(…) Qualsiasi struttura di azione collettiva si costituisce come sistema di potere: essa è fenomeno, effetto e fatto di potere. In quanto costrutto umano, essa organizza, regola, ‘adegua’ e crea potere per permettere agli uomini di cooperare in imprese collettive. Qualsiasi analisi seria dell'azione collettiva deve quindi porre il potere al centro delle proprie considerazioni». Tratto da Crozier, M.-Friedberg, H., op. cit. , p. 14.Google Scholar

19 Una definizione simile, anche se espressa in modo formalizzato, della razionalità politica si trova in Coleman, J., The Mathematics of Collective Action , London, Heinemann, 1973, p. 73. L'attore economico manifesta la sua razionalità allocando i mezzi di cui dispone in modo da realizzare in massima misura i fini che si è proposto. La razionalità dell'attore politico si manifesta invece nell'ampliare la sua capacità di disporre di mezzi, laddove questi mezzi siano socialmente definiti. La fase di acquisizione del controllo sociale sui mezzi (quindi la razionalità dell'homo politicus) precede quella della allocazione tra fini alternativi (cioè la razionalità dell'homo oeconomicus). Su questa distinzione si vedano le osservazioni, in riferimento al pensiero di Parsons, T., di Pagani, A. in La razionalità del comportamento economico , in Pagani, A. (a cura di), Antologia di scienze sociali, Bologna, Il Mulino, 1963, pp. 127-129. Per alcune considerazioni sull'uso della categoria di razionalità in scienza politica mi permetto di rimandare a Lanzalaco, L., Politica ed economia: due paradigmi di razionalità a confronto , in Urbani, G. (a cura di), Politica ed Economia, Atti del Convegno su «La Scienza Politica in Italia», volume III, di prossima pubblicazione presso Angeli Editore.Google Scholar

20 L'espressione è tratta da March, J. G., The Business Firm as a Political Coalition , in «Journal of Politics», XXIV (1962), pp. 662678.Google Scholar

21 Un ottimo confronto tra approccio razionale e approccio politico alla analisi organizzativa è fatto da Palumbo, D., Organization Theory and Political Science , in Greenstein, F. I.-Polsby, N. W. (a cura di), Handbook of Political Science , London, Addison-Wisley, 1975, vol. III.Google Scholar

22 Per una trattazione più completa rimandiamo a Pfeffer, J., Power in Organizations , Boston-London, Pitman, 1981; Mintzberg, H., op. cit. ; Bacharach, S. B.-Lawler, E. J., Power and Politics in Organizations, San Francisco, Jossey Bass, 1980 ed alla bibliografia ivi citata.Google Scholar

23 Infatti, nella misura in cui un attore è in grado di influenzare le decisioni e le azioni dell'organizzazione, coerentemente con i suoi obiettivi personali, egli sta condizionando il comportamento degli individui che fanno parte dell'organizzazione stessa. La situazione ipotizzata dall'approccio razionale-economico può quindi venir interpretata, alla luce dell'approccio politico, come un caso molto particolare in cui un solo attore, o gruppo di attori, è in grado di determinare totalmente gli obiettivi dell'organizazione e di determinare completamente il comportamento degli altri membri della coalizione organizzativa.Google Scholar

24 Occorre tuttavia tener presente che il potere permette anche all'organizzazione di funzionare, di non disgregarsi sotto le spinte centrifughe generate dai diversi e a volte contrastanti interessi degli attori organizzativi. Sono infatti i rapporti di potere, sotto forma di gerarchia dell'autorità, che portano gli attori organizzativi a cooperare verso la realizzazione di obiettivi comuni, anche se non condivisi. In altri termini, non bisogna sottovalutare la dimensione autoritativa dell'agire organizzato. Le organizzazioni sono degli insiemi di persone che non solo coordinano la loro attività, ma che la coordinano all'interno, e per mezzo, di una gerarchia dell'autorità, cioè di rapporti di potere stabilizzati e legittimi. Sul punto si veda Daval, R., Logique de l'action individuelle , Paris, PUF, 1981, p. 105; Cotta, A., An Analysis of Power Processes in Organizations , in Hofstede, -Kassem, (a cura di), European Contributions to Organization Theory, Assen, 1976.Google Scholar

25 Cfr. Jessua, C., Il dilemma del prigioniero e le insidie della ragione , in Forte, F.-Mossetto, G. (a cura di), Economia del benessere e democrazia , Milano, Angeli, 1970, p. 424; Abell, P., Organizations as Bargaining and Influence Systems: Measuring Intra-organizational Power and Influence , in Abell, P. (a cura di), Organizations as Bargaining and Influence Systems, London, Heinemann, 1975, p. 4.Google Scholar

26 In questo senso Olson, per sfuggire alla ‘fallacia della composizione’ cade, come spesso accade a chi applica troppo rigidamente l'individualismo metodologico, nella ‘fallacia riduzionista’. Essa consiste nel non tenere presenti le proprietà emergenti delle relazioni sociali. Tali proprietà si riferiscono alle relazioni tra attori e non sono riducibili alle caratteristiche, ai valori ed alle intenzioni degli attori in esse coinvolti. Olson limitandosi a interpretare l'azione collettiva come la somma delle risorse individuali perde di vista che essa consiste soprattutto nella creazione di nuove relazioni di interdipendenza tra gli attori.Google Scholar

27 Cfr. Wrong, D.H., Power. Its Forms, Bases and Uses , Oxford, Basil Blackwell, 1979, capitolo 6.Google Scholar

28 Tali pratiche consistono in conflitti di tipo espressivo e simbolico, nella mobilitazione diretta e costante nel tempo degli attori, in rituali di rafforzamento della solidarietà e dell'identità collettiva, in forme intense di socializzazione finalizzate a creare forti lealtà, ecc.Google Scholar

29 Cfr. Laver, M., op. cit. , pp. 198199; Hardin, R., op. cit., pp. 5 e 19.Google Scholar

30 Il numero di attori, espresso come frazione del numero totale dei membri del gruppo, necessari per produrre il bene pubblico è una variabile fondamentale, nettamente più rilevante della dimensione stessa del gruppo, in quanto da esso dipende la probabilità che il bene possa venir prodotto o meno. Tale numero può variare secondo a) che si tratti di produrre un bene pubblico o di eliminare un male pubblico, b) che il bene debba venir prodotto in una quantità determinata o sia invece una variabile continua, e) che il contributo dell'attore sia fisso o variabile, d) che gli attori debbano produrre direttamente il bene o che invece debbano agire su autorità pubbliche e e) che esistano o meno delle asimmetrie tra gli attori sul valore attribuito al bene, sul contenuto che esso deve avere e sulla sua scambiabilità con altri tipi di beni.Google Scholar

31 Il fabbisogno di azione collettiva indica il grado di dipendenza di un attore dagli altri membri dell'organizzazione. Secondo la power-dependence theory la dipendenza di A da B è a) direttamente proporzionale al valore attribuito da A ai suoi fini che sono mediati da B e b) indirettamente proporzionale alla possibilità che A ha di realizzare tali fini al di fuori della relazione tra A e B. Quanto maggiore è la dipendenza di A da B tanto più il primo sarà disposto a modificare il proprio comportamento in ottemperanza agli interessi ed alle richieste del secondo. Ne consegue che quanto maggiore è il fabbisogno di azione collettiva di un individuo, cioè quanto maggiore è la sua dipendenza dagli altri membri del gruppo, tanto più egli sarà disposto a rinunciare alla propria autonomia a vincolare il proprio comportamento a quello degli altri.Google Scholar

32 Cfr. Cella, G.P., op. cit. , pp. 504505; Mutti, A., Scambio politico e incertezza , in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXVI (1985), p. 72.Google Scholar

33 Anche perché una parte considerevole dei contributi che l'attore impegna nell'azione collettiva vengono direttamente o indirettamente utilizzati in operazioni di reclutamento e di propaganda al fine di sensibilizzare altri attori e di portarli a contribuire all'azione collettiva. Partecipare all'azione collettiva può portare, contrariamente a quanto supposto da Olson, altri a fare la stessa scelta. Sul punto si vedano le osservazioni di Ireland, T., La logica della rivolta , in Forte, F.-Mossetto, G. (a cura di), op. cit. , pp. 854855.Google Scholar

34 Un dato livello di salario reale è un bene affidabile in un sistema in cui sia presente un meccanismo automatico di indicizzazione dei salari monetari, non lo è se tale meccanismo è assente. Aria e acque non inquinate sono bene affidabili in un territorio scarsamente industrializzato e urbanizzato, non lo sono in una grande metropoli. Attori particolarmente influenti possono ottenere, attraverso il meccanismo delle reazioni anticipate e delle non-decisioni, dei provvedimenti favorevoli ai loro interessi senza compiere nessuna specifica azione a tal fine, tali provvedimenti saranno perciò dei beni affidabili per loro. La difesa dei propri interessi sarà un bene meno affidabile per attori meno influenti che devono intervenire attivamente, mobilitando sostegno e risorse, nel processo politico.Google Scholar

35 Tali variazioni possono emergere confrontando, in un orizzonte sincronico, vari gruppi sociali e vari tipi di beni o anche, in un orizzonte diacronico, lo stesso gruppo di individui.Google Scholar

36 Cfr. Marsh, D., On Joining Interest Groups: An Empirical Consideration of the Work of Mancur Olson Jr. , in «British Journal of Political Science», VI (1976), p. 268; Hardin, R., op. cit., pp. 76-83.Google Scholar

37 Ci rifacciamo alla definizione di interesse collettivo data da Goio, F., Movimenti collettivi e sistema politico , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», XI (1981), pp. 346.Google Scholar

38 Olson, Mr. Jr., op. cit. , p. 2; da ciò si ricava che Olson ritiene che l'omogeneità di interessi tra gli attori possa in una certa misura rappresentare una motivazione che dovrebbe spingerli a cooperare e a non comportarsi da free rider. Ciò, come si vedrà tra poco è errato: è casomai la disomogeneità tra le opinioni che gli attori hanno su quale sia il loro interesse comune, e sulla strategia per realizzarlo, che può incentivare la partecipazione.Google Scholar

39 Cfr. Marsh, D., op. cit. , p. 269.Google Scholar

40 Cfr. Hardin, R., op. cit., cap. V e specialmente pp. 68 e 81. Si configura così una sorta di paradosso. Infatti, la disomogeneità degli interessi in gioco, da un lato, rende meno conveniente la strategia di free riding, e quindi rappresenta un incentivo alla partecipazione. Tuttavia, dall'altro lato, quanto maggiore è questa disomogeneità tanto più sarà difficile per l'attore provocare dei mutamenti significativi nella natura del bene pubblico.Google Scholar

41 Ciò accade perché il valore delle risorse varia a seconda dei rapporti di scarsità e dipendenza, che sono assai diversi all'interno del sistema politico e all'interno dell'organizzazione che in esso agisce. La stessa risorsa può non avere alcuna rilevanza per il funzionamento della società, o essere in essa molto abbondante, e contemporaneamente essere invece scarsa nell'organizzazione ed avere un'importanza fondamentale per la sua sopravvivenza. Facciamo un esempio che, per quanto banale, ci sembra possa chiarire il significato di quanto affermiamo. Il controllo di una data somma di denaro può non dare alcun potere economico ad un individuo, ma può conferirgli invece molto potere organizzativo qualora egli sia il principale finanziatore di un gruppo di interesse. In questo caso egli potrà condizionare gli obiettivi di questa associazione e, così facendo, utilizzerà le risorse degli altri membri dell'organizzazione per realizzare i suoi interessi individuali. La somma iniziale di denaro viene ‘potenziata’ in quanto, attraverso i legami organizzativi, vengono mobilitate altre risorse.Google Scholar

42 Cfr. Offe, C.-Wiesenthal, H., op. cit. Quello su cui non concordiamo con questi due autori è che esistano due logiche dell'azione collettiva: quella degli imprenditori e quella dei lavoratori, quella di coloro che hanno potere e quella invece di coloro che non ce l'hanno. Ciò che cambia, infatti, non è la logica dell'agire collettivo, che è sempre una logica ‘politica’, ma la diversa proporzione che nei due tipi di organizzazioni esiste tra risorse controllate individualmente e risorse prodotte collettivamente. Questa diversa distribuzione genera differenti imperativi organizzativi i quali, a loro volta, incidono sulla forma che assume l'azione collettiva, ma non sulla sua logica. Google Scholar

43 Come nota acutamente Wrong, D. ( op. cit. , p. 35), anche gli studenti, gruppo che sembra disporre di ben poche risorse funzionali, hanno invece a disposizione una risorsa fondamentale: il tempo. Ed è per questo che riescono ad essere spesso un gruppo politicamente influente.Google Scholar

44 Hardin, R., op. cit. , p. 34.Google Scholar

45 Cfr. Elster, J., Some Conceptual Problems in Political Theory , in Barry, B. (a cura di), Power and Political Theory , London, Wiley, 1976.Google Scholar