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ATTEGGIAMENTI POLITICI DEGLI IMPRENDITORI: IL CASO DELLA LOMBARDIA

Published online by Cambridge University Press:  14 June 2016

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Introduzione

Il rapporto tra imprenditori e politica resta ancora oggi, nel nostro paese, uno dei campi di studio meno indagati. L'argomento è ormai assurto ai fasti dei rotocaichi e delle prime pagine dei quotidiani, senza che a questo successo di pubblico abbia però fatto seguito un anaIogo e parallelo approfondimento conoscitivo. La conseguenza piú appariscente è che in tema di ª imprenditori e politica » possediamo uno sterminato archivio di « ritratti » dei singoli personaggi (in specie dei piú noti amministratori di grandi industrie), sapendo però ben poco di quelche pensa e di quel che fa la generalità della categoria. Orientamenti politico-culturali degli imprenditori, livello e fon ti delle loro conoscenze, modalita di partecipazione politica restano altrettanti campi dove procediamo per grandi impressioni, attraverso generalizzazioni che nascono per lo piú da singole e casuali relazioni personali (spesso influenzate e deformate dalle rispettive propensioni ideologiche), piuttosto che da solide informazioni empiriche, raccolte sistematicamente e su vasta scala.

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Ricerche
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References

Questo lavoro è state originato da un « commento » ai dati forniti da una ricerca svolta dall'ISGO di Milano — nei primi mesi del 1976 — sotto la direzione di un Comitato Scientifico presieduto dal prof. Innocenzo Gasparini (e del quale facevano parte i proff. Alberoni, Angaroni, Bontadini, Brambilla, Casari, Martinelli, Matteucci, Onida, Prodi, Sartori, Scott e Urbani); promossa dalla Federazione region ale fra Ie associazioni industriali della Lombardia. Una versione ridotta di questo saggio apparira negli Atti dell'indagine, attualmente in corso di pubblicazione. L'autore ringrazia sia i promotori che i1 Comitato Scientifico per aver autorizzato la doppia utilizzazione del testo. Google Scholar

1. La letteratura sull'argomento è infatti costituita da ben pochi lavori condotti attraverso rigorose ricerche empiriche; piú larga, invece, la disponibilità di ricostruzioni storico-giornalistiche. Tra i primi si vedano, ad esempio, gli studi — ormai di sapore «storico» — di LaPalombara, J., Clientela e parentela. Studio dei gruppi d'interesse in Italia, Milano, Comunità, 1967; id. e Ammassari, G. Pirzio, L'intervento elettorale della Confindustria , in Dogan, M. e Petracca, O. M. (a cura di), Partiti politici e strutture sociali in Italia, Milano, Comunità, 1968, pp. 249–272. Tra le seconde, utili informazioni sui tempi piú recenti sono contenute in lavori come quelli di: AA.VV., La politica del padronato italiano, Bari, De Donato, 1972; Speroni, D., Il romanzo della Confindustria, Milano, SugarCo, 1975; Pirzio Ammassari, G., La politica della Confindustria, Napoli, Liguori, 1976. Una bibliografia piú ampia — curata da Petrarca, O. M. — è nell'appendice alla edizione italiana del volume di Wootton, G., I gruppi d'interesse, Bologna, Il Mulino, 1975, pp. 183192.Google Scholar

2. L'approccio in questione è teorizzato, piú che altrove, in Almond, G. A. e Powell, G. B., Comparative Politics. A Developmental Approach, Boston, Little, Brown and Co., 1966, trad. it. Politica comparata, Bologna, Il Mulino, 1970, spec. cap. IV. Le mie valutazioni critiche su tale impostazione sono contenute soprattutto nel volume L'analisi del sistema politico, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. 127156. Almond ha ampiamente utilizzato tali categorie concettuali per lo studio dei comportamenti politici imprenditori nel saggio.Google Scholar

3. Per la nozione di «gruppo d'interesse» si possono vedere — piú ampiamente — sia la rassegna I gruppi di pressione, curata da Pasquino, G. nella «Rivista Italiana di Scienza Politica», II (1972), pp. 161183; sia il già citato lavoro di Wootton, G., Interest Groups, Englewood Cliffs, 1970, ed. it. cit. Utili materiali sull'argomento sono contenuti anche nel numero speciale della rivista «Controcorrente», Gruppi di interesse e gruppi di pressione, a cura di Mignone, A. e Monti-Bragadin, S., gennaio-settembre 1974.Google Scholar

4. Uso qui l'espressione introdotta da Macridis, R., Comparative Politics and the Study of Government: the Search for Focus , in «Comparative Politics», I (1968), pp. 7990, per condannare quegli approcci sociologizzanti allo studio dei fenomeni politici, tendenti a spiegare ogni avvenimento politico in base a cause sociali, senza alcuna considerazione per l'autonoma incidenza che le istituzioni e i processi politici possono avere.Google Scholar

5. È chiaro che intendo qui riferirmi alla «politica economica» intesa come processo complesso e non come momento meramente istituzionale. Per una trattazione esemplificativa di questo punto di vista — sia pure limitatamente alle politiche di programmazione — si può vedere il mio La programmazione come processo politico , in «Rivista Italiana di Scienza Politica», IV (1974), pp. 287–350. Cfr. anche il mio articolo I quattro limiti del pluralismo in Italia. Cosí saremo tutti presenti?, in «La Stampa», 15 aprile 1977, p. 3.Google Scholar

6. Dahrendorf, R., Markt und Plan, Tübingen, Mohr, 1966; trad. it. Mercato e pianificazione: due modelli di razionalità, in «Biblioteca della libertà», VIII (1971), n. 35, p. 86.Google Scholar

7. La nozione di «domanda politica», alla quale mi riferisco, è quella elaborata e sviluppata da Easton, David, nei suoi molteplici lavori, ma soprattutto in A Systems Analysis of Political Life, New York, Wiley, 1965, spec. cap. 3. E quindi, «domanda» come insieme di richieste avanzate da parte dei membri del sistema politico e legate al «sostegno» da loro accordato ai governanti e al regime.Google Scholar

8. La piú recente storiografia ha messo bene in evidenza — del resto — il nesso causale esistente tra istituzioni politiche e culturali, da un lato, e sviluppo economico, dall'altro. Per una penetrante rilettura d'assieme della storia dell'economia moderna, si veda — ad esempio — il bel saggio di North, D. C. e Thomas, R. P., The Rise of the Western World, London, Cambridge University Press, 1973, trad. it. L'evoluzione economica del mondo occidentale, Milano, Mondadori, 1976.CrossRefGoogle Scholar

9. Ed a queste considerazioni di opportunità, dovremmo forse aggiungerne almeno una quarta: l'imprenditoria minore sembra infatti costituire — agli occhi di alcuni lungimiranti e autorevoli commentatori — la forma industriale con maggiori chances per il futuro, a fronte dei tanti impacci di cui soffre oggi (forse irrimediabilmente) la grande industria. Come introduzione a questo interessantissimo tema, si veda — da ultimo — il bel saggio di MacRae, N., The Coming Entrepreneurial Revolution: a survey , in «The Economist», 25 dicembre 1976, pp. 4165.Google Scholar

10. Come si vedrà, i nostri commenti si riferiscono sempre all'intera Lombardia, senza tentare alcuna analisi disaggregata per provincia (come i dati apparentemente consentirebbero). Il motivo di ciò sta nella scarsità dei casi disponibili per gran parte delle singole domande e perciò nella scarsa significatività che la maggior parte delle possibili analisi disaggregate determinerebbe.Google Scholar

11. Cfr. Capecchi, V. e Livolsi, M., La stampa quotidiana in Italia, Milano, Bompiani, 1971, spec. pp. 337339. E anche se si tratta, purtroppo, di dati che si riferiscono alla metà degli anni '60, non sembra che a distanza di quindici anni le cose siano granché cambiate in meglio. Lieti, naturalmente, se verranno nuove ricerche a smentire questa impressione! Google Scholar

12. Cfr. Bechelloni, G., Informazione e potere. La stampa quotidiana in Italia, Roma, Officina Edizioni, 1974, p. 132.Google Scholar

13. I «lettori assidui» passano, infatti, dall'86,2 (per chi ha compiuto solo la scuola dell'obbligo) al 91,6 (per chi ha un diploma di scuola media superiore), fino al 98,2 (per coloro che sono laureati): quanto agli studi. E passano dall'84,7 al 91,2, al 91,9, al 91,7, al 93,3, al 100 per cento, quanto alle varie classi di aziende (da quelle piú piccole a quelle piú grandi).Google Scholar

14. All'epoca della rilevazione erano in circolazione sette testate: Avanti! (PSI), Il Manifesto (Democrazia Proletaria), Il Popolo (DC), Il Secolo d'Italia (MSI-Destra Nazionale), La Voce Repubblicana (PRI), Lotta Continua (Democrazia Proletaria), l'Unità (PCI).Google Scholar

15. Secondo una recentissima stima, infatti, mentre i maggiori quotidiani indipendenti venderebbero una media giornaliera di 4.415.000 copie, le sette testate «di partito» venderebbero non piú di 328.000 copie. Cfr. Finzi, E., Radiografia di 76 giornali italiani , in «L'Espresso», 3 ottobre 1976.Google Scholar

16. I «lettori regolari» dei quotidiani politici sono, infatti, il 3,4 per cento nella prima scolastica inferiore, l'8,6 in quella intermedia e il 9,1 in quella superiore. E sono, rispettivamente, il 5,1, il 4,5, il 12,5, il 13,9, il 14,3, il 25 per cento nelle varie classi aziendali (anche qui: andando dalle piú piccole alle piú grandi).Google Scholar

17. Segue «regolarmente» un quotidiano economico-finanziario il 41,4 della fascia scolastica inferiore, il 48,6 di quella intermedia e il 62,5 di quella superiore. E, per grandezza delle aziende, i lettori regolari passano dal 39 per cento della classe inferiore, al 50,9, al 63,5, al 77,8, all'80, fino al 100 per cento delle classi via via superiori.Google Scholar

18. Cfr. spec. Cohen, S. S., Modern Capitalist Planning: The French Model, Cambridge, Harvard University Press, 1969 e, per una descrizione del caso francese comparato con quelli inglese e italiano (soprattutto per quanto riguarda le rispettive «logiche» programmatone), Hayward, J. e Watson, M., (eds.), Planning, Politics and Public Policy. The British, French and Italian Experience, London, Cambridge University Press, 1975.Google Scholar

19. Cfr. Faludi, A., (ed.), A Reader in Planning Theory, Oxford, Pergamon Press, 1973.Google Scholar

20. I giudizi positivi «in teoria» decrescono, infatti, dall'82,7 della media generale al 76,92 dei lettori assidui di giornali e riviste straniere (nel caso dei giudizi sulla programmazione); e decrescono dal 52,8 al 48,07, nel caso dei giudizi sul controllo dei prezzi.Google Scholar

21. Quest'ultimo dato deve essere considerato con notevole cautela. In entrambi i casi, infatti, è assai probabile che occorra scontare l'influenza «ideologica» delle rispettive fonti di informazione. Nel senso che, mentre nel primo caso i rispondenti hanno soprattutto seguito una fonte non molto simpatetica durante questi anni verso la politica di programmazione attuata in Italia («Il Sole − 24 Ore»), nel secondo caso la quasi totalità dei lettori segue giornali (le testate di partito) assai piú simpatetici alla programmazione economica, considerata sia in teoria sia nell'applicazione italiana.Google Scholar

22. Rispettivamente: il 16,9, 20,1, 24,3, 25, 40, 75 per cento dei rispondenti, nelle varie classi dimensionali (andando da quelle inferiori a quelle superiori).Google Scholar

23. Dal 17,2 per cento delle aziende piú piccole al 23,7, 24,3, 54,3, 53,3, 75 per cento di quelle via via piú grandi.Google Scholar

24. I corsi a cui gli intervistati «vorrebbero» partecipare riguardano i seguenti argomenti: organizzazione e gestione aziendale (per il 46,1 dei rispondenti); ricerche di mercato e organizzazione delle vendite (il 12,5); problemi amministrativi e fiscali (1'11,7); problemi tecnologici e gestionali della produzione (il 28,1); problemi di gestione del personale (11,5).Google Scholar

25. Confindustria (Comitato Nazionale per la piccola industria), Indagine conoscitiva sulla piccola industria, Roma, giugno 1976.Google Scholar

26. E cioè: Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia e Liguria. Abbiamo limitato il confronto a quest'area — non potendo disporre di dati disaggregati per singole regioni — al fine di avere la minor disomogeneità possibile tra i due campioni. Si tenga peraltro presente che il campione nord-occidentale presenta coincidenze assai significative con quello della nostra indagine: stessa età media degli intervistati, distribuzione assai simile dei titoli di studio e del numero degli addetti nelle varie aziende.Google Scholar

27. «Incoraggiante» nel senso che lascia trasparire un'alta potenzialità di ciò che tra gli studiosi viene definita la «sindrome della modernizzazione» (relativamente, naturalmente, alla cultura politica individuale). Cfr., ad esempio, Sherrill, K. S., The Attitudes of Modernity , in «Comparative Politics», I (1969), pp. 184210.Google Scholar

28. Per la problematica propria alle società industriali avanzate e alle loro maggiori o minori «capacità di governo» del settore economico, si può vedere il volumetto da me curato Sindacati e politica nella società post-industriale, Bologna, Il Mulino, 1976.Google Scholar

29. Sull'anomalia delle società politiche «polarizzate» si sofferma — ad esempioDahl, R. A. nell'introduzione al volume collettaneo da lui curato Regimes and Opposition, New Haven, Yale University Press, 1973, pp. 410.Google Scholar

30. Cfr. Almond, G. A. e Powell, G. B., op. cit. Google Scholar

31. Cfr. Urbani, G. (a cura di), Sindacati e politica nella società post-industriale, cit., spec. pp. 2837.Google Scholar

32. La Confindustria ha stilato di recente un puntiglioso elenco di questi «lacci e lacciuoli»: se ne veda la presentazione schematica in «Mondo Economico», 25 dicembre 1976.Google Scholar